domenica 31 gennaio 2016

Il paradosso della felicità nell’era del Marketing 3.0
Il caso: Dal fitness al Wellness

“Non è la ricchezza a fare la felicità” 
E’ una frase sentita e risentita, dibattuta ormai da anni.
Sembrerebbe una di quelle frasi che innescano interminabili discussioni durante un pranzo o una cena. E’ invece molto di più.

La correlazione tra reddito e felicità è infatti oggetto di studio nelle discipline economiche fin dal 1974 quando Richard Easterlin, professore di economia all'Università della California meridionale, evidenziò che nel corso della vita la felicità delle persone dipende poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza.
Lo studio di Easterlin, definito il paradosso della felicità, dice che la relazione tra reddito e felicità auto percepita non cresce linearmente nel tempo, all’inizio aumentano insieme, ma dopo una certa soglia e dopo un certo tempo, ogni ricchezza in più non solo non aumenta la felicità, ma l’andamento s’inverte e la felicità si stabilizza o decresce (Luigi D’Elia, Il paradosso di Easterlin, ovvero della felicità godibile solo in reciprocità, POL.it, 2013)

Con i recenti studi di Kotler sull’evoluzione del marketing verso il 3.0 non bisogna mai perdere di vista il paradosso di Easterlin. Kotler introduce il marketing 3.0 non più orientandolo al prodotto, al mercato o alle vendite ma orientandolo verso un obiettivo più ampio: rendere il mondo un posto migliore in cui vivere. Offrire un prodotto ad un cliente significa offrire funzionalità, emozione e simbologia, significa soddisfare e rendere felici le persone.
L’epoca turbocapitalistica e neoliberista in cui viviamo sembra aver messo in crisi la serenità e felicità umana in cui tempo e socialità (i due elementi cardini della felicità) cominciano ad estinguersi giorno dopo giorno. Ed è qui che il nuovo marketing agisce: studia il mercato, i desideri e offre alle persone la possibilità di ritrovare benessere grazie a nuove concettualizzazioni su prodotti o servizi.  
Il marketing ha sostituito il concetto di libertà con quello di opzione d’acquisto, il concetto di buona vita con quello di forma, il piacere con l’emozione, e il perduto mondo autentico e la perduta armonia sono tra i “must” di ogni pubblicitario come memoria da recuperare attraverso un nuovo comportamento consumistico (Luigino Bruni,  L’economia, la felicità, gli altri, Citta Nuova, Roma, III ed. 2009)

Dove è il nesso tra l’attuale  Marketing 3.0 con il vecchio studio di Easterlin?

Se invece di correlare reddito e felicità correliamo le vendite (intese in senso ampio come come benessere, utilità, coinvolgimento delle persone verso un determinato prodotto) e le strategie delle aziende (posizionamento e marketing mix) ci accorgeremo che Eaterlin trova piena applicazione anche nel campo del Marketing più moderno. 

Se il Posizionamento e Markting Mix fossero statici nel tempo, il paradosso di Esterlin si verificherebbe: diminuzione delle vendite graduale nel tempo e ovviamente del benessere percepito dalle persone per quel determinato prodotto. 
Ma se il Marketing capisce di cosa ha bisogno il mercato e si apre al 3.0 toccando anche l’emozionale e il simbolico la curva di Easterlin non si stabilizza e non decresce, ottiene al contrario un andamento sempre crescente. 

Durante una lezione sul posizionamento strategico del Master in Marketing che sto al momento seguendo, con il dott.re Marco Roccabianca (docente presso la Buisiness School Sole 24 ore) ho studiato a fondo il mercato del fitness italiano e di come questo sia evoluto in un nuovo concetto, il Wellness. 
Da fenomeno sociale strettamente correlato a concetti come bellezza ed estetica, a un mezzo per raggiungere un benessere olistico. Andare in palestra non significa più semplicemente estetica, significa ottenere un benessere totale prendendosi cura della propria persona.  

Con l’evoluzione  verso il wellness l’utilità delle persone ha cominciato a crescere nuovamente ritornando ad avere un andamento positivo. 
Il mercato del wellness e del fitness ha chiuso il 2011 con un fatturato di 3 miliardi di euro rispetto ai 2,8 miliardi del 2010. E’ il quarto mercato europeo per fatturato, e il primo per numero di palestre con oltre 5,5 milioni d’iscritti. L’universo benessere, che comprende centri di bellezza, spa e altre strutture del genere, sfiora i 10 miliardi di euro. (Fonte: http://www.moda24.ilsole24ore.com/)

Il paradosso di Easterlin rappresenta, ad oggi, con l’evoluzione verso il Marketing 3.0, un ottimo strumento di analisi per comprendere a fondo le dinamiche sul benessere e sull’utilità del consumatore finale. Esso ci consente di non perdere mai di vista che le vendite sono strettamente correlate alla dinamicità delle strategie aziendali orientate a comprendere il mercato.



Roberto Sabatino

martedì 13 ottobre 2015

Soddisfazione e Fedeltà nel marketing

“Cerco di soddisfare i miei clienti al 100% per renderli fedeli”, è questa l’affermazione di un esercente durante il focus group che ho organizzato lo scorso anno per un progetto universitario.

“Il mio caffè è buono, i clienti sono soddisfatti del prodotto e del servizio; è questo ciò che li porta ogni mattina a ritornare da me”, afferma il gestore di un bar italiano, a Berlino, nel corso di una semplice chiacchierata.

“Fidelizzare significa soddisfare”, è quanto dichiara un ristoratore che ho intervistato per la stesura della mia tesi di laurea.

I concetti di soddisfazione e fedeltà, quindi, appaiono in strettissima correlazione: si muovono l’uno in funzione dell’altro, come se fossero direttamente proporzionali.

Ma è realmente così?

A seguito di alcuni studi e approfondimenti personali in marketing, comunicazione e strategia d’impresa mi sento di non convenire con tale teoria.
Una correlazione esiste senz’altro, ma non risulta così forte ed oggettiva. In alcuni casi non esiste correlazione, in altri è debole e in altri ancora è forte; il grado di intensità varia a seconda dei casi. 


Ipotizziamo i livelli di fedeltà e soddisfazione con la seguente matrice: 



I soggetti con un basso grado di soddisfazione e fedeltà vengono chiamati “terroristi” perché insoddisfatti e infedeli generano un passaparola negativo. In questo caso, non c’è discordanza con la teoria che soddisfazione e fedeltà sono direttamente proporzionali, ma, passando ad analizzare il quadrate “ostaggi” la situazione cambia.
Quante persone, anche se insoddisfatte, continuano ad essere fedeli ad un punto vendita? Quante tagliano i capelli dall’anziano barbiere sotto casa solo perché è il cugino di famiglia? E quante fanno la spesa al piccolo supermercato dietro l’angolo, a prezzi elevati, solo perché è di proprietà di un amico? Si tratta di consumatori non soddisfatti ma fedeli perché non riescono a convertirsi al cambiamento in quanto incapaci di superare le barriere di carattere psicologico, affettivo, familiare, morale etc. 
Nella matrice in alto a sinistra ci sono i “mercenari”,  consumatori che, nonostante l’elevato grado di soddisfazione, manifestano scarsa fedeltà; sono sempre e comunque alla ricerca del proprio vantaggio economico: “sono soddisfatto di questo parrucchiere ma l’altro è altrettanto bravo e questa settimana regala uno sconto del 10%”. Ecco il tipico ragionamento di un consumatore definito “mercenario”. 
Con un alto livello di soddisfazione ed un alto livello di fedeltà, in alto a destra, troviamo gli “apostoli”, definiti così perché oltre che essere fedeli “predicano” anche un passaparola positivo e fanno crescere il business. 


Seguendo la teorizzazione della matrice in oggetto, soddisfazione e fedeltà non sono sempre e in ogni caso direttamente proporzionali: solo 2 quadranti su 4 seguono la teoria che la soddisfazione genera fedeltà e l’insoddisfazione infedeltà. 


Di fronte a questo scenario, mi sento di sostenere che i processi decisionali di acquisto e riacquisto non sono così semplici da ridursi a: compro -sono soddisfatto- riacquisto.
Soddisfazione e fedeltà, quindi, non sono due concetti che, in ogni caso ed oggettivamente, si muovono l’uno in funzione dell’altro. 




                                                                                             Roberto Sabatino




domenica 11 ottobre 2015

L’evoluzione strategica dei rapporti industria-distribuzione: Dalla Grande Distribuzione Organizzata al Grande Horeca Organizzato


Sviluppare una fotografia della relazione industria-distribuzione risulta complesso perché si stratta di un concetto in costante evoluzione.  
Tra i numerosi studiosi, che negli anni hanno contribuito ad approfondire l’argomento, la definizione della relazione industria-distribuzione di Luca Pellegrini è quella che, personalmente, ritengo più significativa: “La relazione industria distribuzione è un processo economico caratterizzato dalla presenza di tre insieme di attività. Un insieme è quello a cui fanno riferimento le attività di produzione in senso stretto, un altro riguarda il soddisfacimento dei bisogni umani ed infine un insieme di attività intermedio come connettore tra la produzione ed il consumo, in cui trova spazio la distribuzione”.

I primi studi in merito alla relazione industria-distribuzione sono riconducibili all’immediato dopoguerra con il passaggio da un processo economico produzione-consumo ad un processo produzione-distribuzione-consumo. 
Tale periodo si caratterizzava dall’industrializzazione di massa, da un forte aumento della domanda e da un aumento della produzione su larga scala. La distribuzione geografica, inoltre, si allargava oltre i mercati locali e, in questa situazione, la produzione non poteva più occuparsi della distribuzione dei propri beni: nasceva così l’esigenza di affidare tale funzione ad agenti economici esterni. La figura del grossista assunse pertanto una valenza strategica fondamentale: connettore tra produzione e dettaglio e generatore di efficienza. 

Sono molteplici gli eventi che durante il decorso degli anni hanno contribuito a rivoluzionare le complesse relazioni di filiera. Con la distribuzione dei beni di largo consumo negli anni ’80, infatti,  si passa da una Distribuzione Tradizionale (DT) ad una Grande Distribuzione Organizzata (GDO).
Si passa cioè da un canale di vendita lungo ad un canale più corto, da un basso potere contrattuale della distribuzione nei confronti dell’industria ad una maggiore forza della distribuzione, da un approvvigionamento fatto essenzialmente presso la funzione dell’ingrosso ad una centralizzazione degli approvvigionamenti.
Il passaggio verso forme di cooperazione e networking, che ancora oggi sono alla base delle strategie aziendali, è pertanto riconducibile agli anni ’80 con il passaggio dalla  DT a GDO. 

Cosa è accaduto invece nell’Horeca (Hostel-Restourant-Cafè)? Anche l’Horeca si è evoluto in questo modo negli anni?

La relazione industria-distribuzione nell’Horeca è stata caratterizzata da un'evoluzione piuttosto lenta rispetto a quella della GDO, infatti soltanto adesso nel mercato dei consumi extra-domestici si comincia a parlare di forme di collaborazione e networking così come avvenne nella distribuzione dei beni di largo consumo negli anni ’80. 
Tale ritardo è dovuto ad una problematica di natura strutturale del sistema distributivo italiano, ovvero la forte polverizzazione, cioè la frammentazione in un numero eccessivo di punti vendita di piccole dimensioni e generalmente a conduzione familiare. L’evoluzione Horeca nasce oltre che come risposta a tale problematica di natura strutturale anche come risposta a problematiche congiunturali e finanziarie.
Gli obiettivi alla base dell’orientamento al network e all’associazionismo Horeca sono la creazione di una value constellation e l’aumento del potere contrattuale della distribuzione nei confronti dell’industria attraverso strategie che puntano sul fattore spazio e sul fattore tempo. 
Per spazio si intende il maggior spazio espositivo che la distribuzione può offrire all’industria tramite l’associazionismo, si passa cioè dai metri lineari degli scaffali della DO ai centimetri lineari degli spazi espositivi dei punti vendita associati nell’Horeca. 
Per tempo si fa riferimento invece ad un fattore completamente nuovo. Riferendoci ai consumi extra-domestici si presuppone che i consumatori oltre che acquistare un determinato prodotto in un punto vendita (PDV) tendono anche a consumarlo in loco, passando così maggior tempo nel PDV.

Ad oggi è quindi possibile determinare un allineamento in termini evoluzionistici della relazione industria-distribuzione Horeca con quella della GDO.

Se negli anni ’80 con la distribuzione dei beni di largo consumo si è cominciato a parlare di GDO,  oggi nel mercato dei consumi extra domestici si può parlare di GHO inteso come GH catene di proprietà e HO  distributori associati indipendenti?

La risposta a tale quesito è relativa e non assoluta. Parlare di sviluppo di catene di proprietà nell’horeca è prematuro, data la forte propensione del commercio italiano alla conduzione familiare. A conferma di ciò sono i seguenti dati: per bar e caffetterie soltanto l’1% di tutti i pubblici esercizi italiani fa capo a catene di proprietà; nei servizi ricettivi su 33.000 alberghi presenti sul territorio italiano il 98% è a conduzione familiare e soltanto il 2% fa capo a catene (Dati FIPE: Federazione Italiana Pubblici Esercizi).
L’Horeca Organizzato, invece, risulta avere un concreto reale sviluppo. A confermalo sono le molteplici relazioni orizzontali e verticali che si sono venute a creare negli anni in tale comparto. 
A livello orizzontale la forma di cooperazione che più ha caratterizzato tale periodo è l’ingrosso associato: CDA, UDIAL e BN sono i consorzi leader sul territorio italiano per numero di associati nell’Horeca. Seconda i dati del CDA tale forma di cooperazione sarà destinata a crescere negli anni. A livello verticale si comincia a parlare di creazione di network a marchio, infatti il 29 gennaio 2015 è stato lanciato da UDIAL un progetto innovativo dove, per la prima volta, si creano insegne commerciali anche nel comparto Horeca, così come era avvenuto nella GDO degli anni ’80 (SISA, CRAI, SIGMA, etc). 

Unioni volontarie, gruppi di acquisto, cooperative di consumo, franchising, cooperazioni orizzontali, verticali... cominciano, oggi, ad essere di primaria importanza per l'Horeca.
Con un ritardo di più di 30 anni rispetto alla GDO, l’Horeca verge, quindi, verso forme di associazionismo e networking, allineando, finalmente, il suo orientamento a forme di distribuzione moderne e più efficienti.

                                                                                                                              

Roberto Sabatino